Archivi per November 30, 1999

È con sommo piacere che oggi pubblico questo articolo con una intervista a Gian Luca Petrelli, startupper fondatore di “Be My Eye, azienda specializzata in Crowdsourced field audits. Dopo una breve introduzione a “Be My Eye” troverete la sua intervista, concessa in esclusiva per The Big Cloud Project!

Introduzione a Be My Eye

Ho diversi amici che lavorano per imprese che operano nella grande distribuzione e sono rimasto colpito quando ho scoperto che è una prassi consolidata e diffusa che queste imprese assumano dei laureati o addirittura delle società specializzate (con costi altissimi!) per effettuare delle semplici operazioni di store checking, in cui – il più delle volte – viene chiesto di effettuare controlli sul rispetto dei termini contrattuali.

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Quando ho sentito parlare della start-up italiana “Be My Eye” ho potuto apprendere che finalmente qualcuno aveva avuto l’ottima idea di fornire un sistema più efficiente ed economico di quello che molte aziende utilizzano tutt’ora.

“Be My Eye” è infatti un servizio in crowdsourcing per le aziende che desiderano effettuare diverse operazioni su punti vendita dei clienti:

  • Controllo negozi per prodotti, merchandising e concorrenti;
  • Mystery shopping;
  • Fotografie e video per il settore immobiliare;
  • Ispezione della segnaletica stradale;
  • Controllo affissioni pubblicitarie;
  • Fotografie e video di eventi pubblici

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Il modello grazie al quale “Be My Eye” si è sviluppata è molto semplice: le aziende si iscrivono alla piattaforma e postano dei “Jobs”, ovvero delle offerte di lavoro (scattare una fotografia del prodotto X nel punto vendita Y della città Z, ad esempio) e allo stesso tempo, gli “Eye” (ovvero le persone iscritte al servizio) presenti sul territorio possono visualizzare il “Job” sulla loro applicazione per smartphone, decidendo di farsene carico.

Ovviamente per gli “Eye” è prevista una ricompensa, che solitamente è di circa 5 euro. Per ora “gli occhi” sono circa 3500 e di solito hanno un’età compresa tra i 18 e i 48 anni. Per alcuni è solo un divertimento e un modo per guadagnare piccole somme di denaro, ma ci sono persone particolarmente attive che riescono a ricavare anche 600 euro al mese.

Per quanto riguarda le aziende invece, una volta redatto il brief e pubblicata la richiesta sulla piattaforma si tratto solo di attendere e di ricevere i dati, che vengono aggregati in tempo reale in una tabella excel.

Il meccanismo sta di fatto rivoluzionando il modo in cui venivano svolte queste attività in passato. Non solo per ragioni legate ai prezzi competitivi, ma perché il sistema (tramite diverse procedure, come il “check-in” via GPS) garantisce la qualità e l’immediatezza dei risultati. Questi possono essere consultati in tempo reale, fattore che permette reazioni immediate da parte dell’azienda qualora gli “Eye” rilevino dei problemi.

Be My Eye è uno dei pochi esempi di successo della febbre da start-up nostrana: il fondatore prevede un 2013 con ricavi pari a 2 milioni di euro, con un piano di internazionalizzazione che porterà il servizio in Francia, Spagna, Regno Unito, Germania e Svizzera.

Di seguito potete leggere l’intervista concessa in esclusiva dal fondatore di Be My Eye a The Big Cloud Project.

Intervista a Gian Luca Petrelli, CEO e fondatore di “Be My Eye”.

Gian Luca PETRELLI-BEMYEYE

1. Tutti gli startupper di successo hanno una “formula segreta”. Qual è la vostra? Quale ritiene che sia stato il fattore determinante che ha portato una grande idea ad un grande successo?

Beh, una premessa è d’obbligo: siamo online da pochi mesi per cui è prematuro parlare di successo. Le premesse comunque ci sono. In questo momento oltre 7000 privati cittadini hanno scelto di lavorare per noi tramite la nostra app e diversi grandi brand hanno iniziato ad utilizzare il servizio. Molti altri stanno iniziando a testarlo. Permettiamo loro di fare ciò che non è mai stato possibile: controllare migliaia di punti vendita in poche ore. 
Se quella di BeMyEye è una formula, la svelo volentieri. Il primo ingrediente è senza dubbio la value proposition: soddisfiamo un bisogno concreto delle aziende meglio di quanto possa essere fatto senza di noi. Il secondo ingrediente è la qualità delle persone. Ogni prodotto o servizio è la sintesi di tutti coloro che hanno contribuito a crearlo. In BeMyEye non solo abbiamo un team di tecnici geniali ma da poco anche dei manager competenti che arrivano dall’industria delle ricerche di mercato e delle attività in-store. Ogni persona che arriva in BeMyEye dopo una lunga selezione, contribuisce a migliorare nostro servizio. Il terzo ingrediente sono le risorse economiche: senza il supporto del fondo che ci finanzia,  360 Capital Partners, non avremmo mai potuto mettere insieme persone tanto in gamba. Il quarto ingrediente è la forza di volontà che da due anni ci fa lavorare giorno e notte, week end inclusi. Siamo presuntuosamente convinti di fare qualcosa di bello. Un giorno un ragazzino indiano guadagnerà col suo telefono per essersi recato a fotografare un paio di vetrine e un’azienda dall’altro capo del mondo avrà ottenuto quell’informazione in poche ore da decine di migliaia di negozi. Ne vale la pena.       

2. Quanto è difficile essere imprenditori in Italia nel 2013, in una scala da 1 a 10?

Se si parla dell’impresa che inizia da zero, credo sia difficile ovunque. L’Italia, di suo, ci aggiunge comunque un bel carico. Da un lato la quasi impossibilità a partire a meno che l’imprenditore non ci metta tutto il denaro necessario, dall’altro una marea di adempimenti e balzelli a cui star dietro perdendo tempo prezioso. Se si aggiunge l’avversione al rischio degli Italiani, che rende difficile ottenere la fiducia degli stakeholder, credo che in quella scala da 1 a 10 l’Italia si meriti un 8.

3. Il modello di business di “Be My Eye” è fantastico, ma è facilmente replicabile. Come pensate di difendere il vostro vantaggio competitivo nei confronti dei potenziali entranti?

I nuovi entranti arriveranno di sicuro ed è giusto così. Dovranno però fare molta strada per costruire un oggetto sofisticato come quello che BeMyEye ha oggi. Quando vi saranno arrivati, l’auspicio è che noi si sarà ancora un passo avanti a loro. La nostra difesa sarà quella di rimanere un’azienda a fortissima anima ingegneristica per poter continuare ad offrire il prodotto migliore.

4. Progettare una piattaforma per il crowdsourcing non è compito semplice a livello tecnologico. La vostra, peraltro, ha un alto livello di complessità. Quanto è stato difficile progettarne una stabile ed affidabile? Quanto tempo ha richiesto il suo sviluppo?

La piattaforma di BeMyEye è davvero complessa. L’app in mano ai nostri Eye e il sito utilizzato dalle aziende sono solo due tessere di un puzzle più grande. La difficoltà è stata quella di non avere termini di paragone quando abbiamo iniziato. Inizialmente volevamo fare più cose di quelle che facciamo oggi e abbiamo impiegato 11 mesi per creare una prima versione e andare online in beta. Poi ci siamo resi conto di dover abbandonare alcune funzionalità e concentrarci su altre che sono state fatte evolvere mano a mano che ascoltavamo le esigenze dei clienti e i suggerimenti dei nostri Eye. E’ stato un “learning-by-doing” fatto di errori, ripensamenti e, per fortuna, anche di intuizioni giuste. E’ come se avessimo voluto costruire un’automobile senza averne mai vista una. L’abbiamo inizialmente fatta con tre ruote, poi messa in strada e capito che era meglio metterci la quarta. Oggi la nostra auto gira nel mondo reale, utilizzata da persone reali, e non passa giorno senza che qualcuno ci dica che mancano i fari, manca il clacson, ci vuole uno specchietto e così via. La nostra routine è fatta di terribili emergenze!

5. Immagino che, quando fate una presentazione alla tipica impresa italiana vi capiti di essere guardati con sospetto, soprattutto quando parlate di crowdsourcing. Quali sono le reazioni che mediamente rilevate quando dovete vendere il vostro servizio?

Al contrario! Di solito la prima reazione è entusiasta. Il problema sono i tempi molto lunghi per tradurre quell’entusiasmo iniziale in un progetto concreto. Vi sono diverse persone all’interno dell’azienda che dovranno essere coinvolte e questo richiede del tempo.

6. Crowdsourcing e Marketing. Come molti studiosi credo che oggi i marketing managers debbano confrontarsi con la quinta P del marketing mix, ovvero “People”. Che importanza ha questa leva nelle vostre strategie di marketing?

Sino non molto tempo fa la comunicazione riguardante un brand era a senso univoco. Oggi possono scaturire delle vere e proprie sommosse popolari sui social network contro un brand che abbia commesso un passo falso. Allo stesso modo una buona operazione online può diffondere la conoscenza di un prodotto con un investimento piccolissimo. Questa liquidità e viralità delle opinioni c’è a prescindere dalla volontà dell’azienda. Per chi abbia a che fare con il grande pubblico sarebbe folle pensare di non gestire quel fiume di opinioni online.
Il nostro è un caso strano. Siamo forse il primo esempio di di C2B e abbiamo quindi due canali di comunicazione ben distinti. Il primo verso le aziende, il secondo verso i nostri Eye. In particolare nei confronti degli Eye la nostra reputation è fondamentale. Sono i nostri fornitori ma li trattiamo come clienti. Rispondiamo in tempi rapidissimi quando ci fanno domande e cerchiamo di aiutarli in tutti i modi. Quando reclutiamo nuove persone non vogliamo essere confusi con quelle cose del tipo “guadagna da casa 5000 euro al mese!”. Chi viene a sapere del servizio leggerà le opinioni degli Eye esistenti e saranno loro a convincerlo. La quinta “P” è vitale anche per noi.

7. Il Crowdsourcing può rappresentare una risorsa, ma a volte si può trasformare in un boomerang. Qual è il segreto per “controllare” la folla, estrarne il meglio e creare un modello vincente?

Ci sono tipologie molto diverse di crodwsourcing. Solo per citare alcuni esempi ci sono i piccoli lavori ripetitivi di Amazon Turk da fare online e pagati qualche cent, il contributo gratuito per le elaborazioni matematiche assegnate a computer di privati, le operazioni di marketing per chiedere alla folla quale colore dare al prossimo prodotto. E poi c’è quello che facciamo noi e che chiamiamo “Crowdsourced field audits”, una metodologia con dinamiche e difficoltà tutte sue. Si tratta di esempi di crowdsourcing molto diversi tra di loro ma che hanno tutti un denominatore comune: ciò che produce la folla deve passare da procedure guidate, controlli automatici, incentivi e disincentivi altrimenti il risultato sarà spazzatura. Si immagini un grande imbuto con diversi filtri attraverso il quale passa il lavoro di emeriti sconosciuti. Alla fine dell’imbuto ci siamo noi ad accettare o eventualmente rifiutare i risultati. Progettare il nostro imbuto ha richiesto del tempo e ora accettiamo il 95% dei lavori. Per qualsiasi tipologia di crowdsourcing è quell’imbuto della qualità a fare la differenza.

8. Come ci si sente ad iniziare un’attività il cui successo dipende esclusivamente dal contributo che migliaia di persone daranno (o non daranno)?

Elettrizzante. La nostra è una sfida doppia. Se un’azienda normale sopravvive solo se continua a dare un valore ai suoi clienti, noi – oltre a quello stesso vincolo – dovremo continuare ad offrire un valore ai nostri fornitori. 

9. Come vorrebbe che fosse “Be My Eye” tra 5 anni?

Fra tre anni vogliamo diventare leader in Europa di quello che crediamo essere l’emergente mercato dei “crowdsourced field audits”. Fra cinque anni l’ambizione è quella di essere presenti in molti paesi emergenti. L’utilità di questa metodologia è tanto maggiore quanto più lontano permette di vedere. Quando arriveremo a far guadagnare quel ragazzino indiano sarà un gran giorno.

Ringrazio Gian Luca Petrelli e la signora Jenny Giuliani dell’ufficio stampa per la gentilezza e la professionalità, auguro a entrambi un grande in bocca al lupo!

A presto,

Massimiliano

Le storie che riguardano nuove idee di giovani imprenditori italiani sono quelle che scrivo sempre con più orgoglio ed entusiasmo. Nell’articolo di oggi parlerò di “Fattelo!“, un progetto di impresa basato su due dei modelli di business collaborativi più importanti del momento: i meccanismi Open Source e il Crowdfunding. Fattelo! è la traduzione inglese di “Do-It-Yourself!”, ovvero, “fattelo da solo!”, e non è altro che un progetto d’impresa basato sul concetto di “design Open Source”, in cui i designer, oltre a poter vendere il prodotto, mettono a disposizione i progetti affinchè essi possano essere costantemente migliorati.

Il primo prodotto nato da questo progetto è una lampada (chiamata 01LAMP), costruita con un semplice cartone della pizza, un cavo e dei led, che si può costruire autonomamente o “comprare” tramite una donazione su Eppela. Grazie a questa si contribuirà inoltre a sostenere il progetto d’impresa concepito dai quattro giovani designer italiani, ideatori del progetto. Si chiamano Mattia, Andrea, Antonio, Federico ed hanno tutti meno di 30 anni, tanto talento e un passato di studio e lavoro nel mondo del design e della progettazione.

Il modello di business che i ragazzi vogliono sfruttare è particolarmente interessante, perché, come tutti i progetti del suo genere, fa leva sulla partecipazione dei contributor e dei fan al progetto stesso. Fattelo! ha però qualche caratteristica che lo rende radicalmente innovativo, perché Il meccanismo che prevede la partecipazione è basato su di una strategia di marketing virale molto ingegnosa. Per scaricare i disegni e le istruzioni necessari per costruire i progetti ci si deve infatti “loggare” con le credenziali di Twitter o Facebook.

In questo modo, sia che si compri il prodotto finito sia che si scarichino i disegni per costruirsi il prodotto autonomamente, si contribuisce alla crescita del progetto. Nel primo modo infatti lo si sostiene “economicamente”, nel secondo invece si contribuisce diffondendo le creazioni ed i progetti dei designer presso la propria rete sociale. Il meccanismo è, in sostanza, un sistema per sostenere un’efficace strategia di comunicazione virale.

I ragazzi hanno dimostrato di essere, oltre che ottimi designer, anche abilissimi strateghi. Nel video di presentazione, infatti, annunciano che sia se il progetto di finanziamento su Eppela abbia successo sia che non ne abbia, scriveranno un report contenente la descrizione della loro esperienza e dei consigli per altri ragazzi che vorranno finanziare i propri progetti tramite crowdfunding. Anche in questo caso i giovani designer cercano di ispirare la propria audience esortandola a contribuire tramite le donazioni su Eppela, in modo che la storia che il report descriva un grande successo e non un fallimento.

Termino complimentandomi con i ragazzi per il loro approccio innovativo all’imprenditoria: non solo hanno ben sfruttato un modello di business innovativo, ma hanno anche saputo pianificare una strategia di marketing basata su tre elementi molto interessanti:

  • Ispirazione: la campagna di comunicazione è incentrata sull’appello ad aiutare questi giovani designer a coronare il loro sogno di diventare imprenditori (argomento che, soprattutto in questi mesi risulta particolarmente “sensibile”).
  • Viralità: grazie al meccanismo “scarica e condividi” i ragazzi possono contare su una comunicazione innovativa, efficace e a costo zero.
  • Partecipazione: il progetto non avrà successo se non otterrà la partecipazione di un buon numero di persone, sia che esse comprino il prodotto sia che lo condividano. L’obiettivo del team di Fattelo! è infatti quello di costruire il proprio progetto e crescere attraverso la partecipazione della propria fan base. In questo contesto, “il crowd” è la leva più importante sulla quale si regge il progetto.

Devo ammettere che sono sicuro che Fattelo! riscuoterà il successo che merita su Eppela, ma, anche se malauguratamente non dovesse, i ragazzi avranno avuto la possibilità di far apprezzare il proprio ingegno e la propria creatività e, non da ultimo, di scrivere un report che sarà utile ai molti altri che verranno dopo di loro. In ogni caso auguro loro un in bocca al lupo!

A presto,

Massimiliano

Pare che il fenomeno del Crowdfunding stia finalmente attirando l’attenzione di sempre più professionisti anche nel nostro Paese. Una buona occasione per parlare del futuro del Crowdfunding in Italia sarà “Crowdfuture – The Future of Crowdfunding”, una convention realizzata da Nois3Lab in partnership con RomaStartUp, che si terrà Il 27 Ottobre 2012 presso l’Università La Sapienza di Roma.

L’evento rappresenta un incontro fondamentale per tutti i professionisti e gli appassionati al tema che vogliano confrontarsi sul tema “Crowdfunding” con alcuni tra i maggiori esperti a livello Italiano e Mondiale. Tra gli speakers, infatti, interverranno: Dan Marom (autore del best seller “The Crowdfunding Revolution”), Dario Giudici (SiamoSoci), Maurizio Sella (Smartika), Claudio Bedino (Starteed), Alberto Falossi (Kapipal), Markus Lampinen (GrowVC), Chiara Spinelli (Eppela), Alessantra Talamo (Sapienza – IdeAct), Ivana Pais (nuvola.corriere.it), Oliver Gajda (European Crowdfunding Network) e molti altri.

Tra i partner a supporto della convention segnalo nomi altrettanto illustri (l’evento è sostenuto anche dal colosso dell’Open Source Mozilla)

Il programma della giornata è stato diviso in due parti: durante la mattinata si svolgerà la conferenza, in cui interverranno i vari ospiti con i loro contributi, mentre nel pomeriggio verranno tenuti diversi Workshops, dove professionisti e partecipanti alla convention potranno confrontarsi riguardo varie tematiche:

  1. Crowdfunding: idee, community, seed capital per le start-up di social
    innovation.
  2. Massimizzare le opportunità di fundraising nell’era digitale.
  3. Crowfunding per il gaming.
  4. Crowdfunding for Open Projects (in lingua inglese).
  5. Donazioni 2.0: il crowdfunding per il non profit.
  6. RicostruiamoCi (Il tema del workshop è la ricostruzione delle zone colpite da catastrofi naturali).
  7. Come creare una campagna di crowdfunding.
  8. Special Event: Crowdknitting.

Come si può vedere il programma è denso e ricco di spunti interessanti, che sono stati intelligentemente divisi per targhettizzare audience diverse e permettere che gli workshops siano una vera possibilità di dibattito e confronto.

L’evento che ha più attirato la mia attenzione è certamente quello riguardante il “Crowdknitting”, un fenomeno di cui non sapevo nulla e che invece sta riscuotendo un buon successo presso gli appassionati di fashion, arte e design. Il termine nasce da un progetto del blog Pensierifattiamano.it e si focalizza sull’espressione artistica legata al mondo della maglia nel contesto delle nuova forma di street art denominata Yarn Bombing. “Pensando alla modalità di esecuzione e sviluppo del progetto, soprattutto in termini di condivisione, ci è sembrato naturale creare le condizioni per estendere l’esecuzione delle installazioni progettate a tutte le knitters che avessero voluto contribuire. Da questo presupposto è nato il nome del progetto CrowdKnitting, dal termine crowd, utilizzato spesso in ambito marketing per creare neologismi che definiscano attività con una forte componente di condivisione e collaborazione.” La mission di Crowdknitting per crowdfuture sarà quindi la visualizzazione del concetto “crowd” e delle potenzialità che emergono da essa. Il workshop ha l’obiettivo di creare, in collaborazione e condivisione, progetti di Yarn Bombing che caratterizzino ambienti urbani, sostengano iniziative sociali, perseguano attività di guerrilla knitting e craftivism (craft + activism).

Chi volesse sostenere l’evento, può farlo tramite la piattaforma Eppela, per chi invece volesse semplicemente partecipare agli workshops, i tickets sono disponibili su www.crowdfuture.net/tickets.

Per ulteriori informazioni sull’evento consiglio di visitare il sito all’indirizzo www.crowdfuture.net, o di visionare il breve video introduttivo all’evento:

A presto,

Massimiliano

Pochi giorni fa vi ho parlato con piacere dell’avventura da startupper di Riccardo e Marco, creatori di come4.org, il primo sito per adulti no profit e a scopo benefico. L’iniziativa continua ad essere sostenuta da numerosi backers (121 fino ad ora) e la campagna di raccolta di finanziamenti su Ulule.com sembra procedere, lentamente ma inesorabilmente, verso l’obiettivo dei 10.000 euro. Avendo trovato il progetto interessante ed insolito ho chiesto al team di come4.org di concedermi un’intervista che racconti la loro esperienza e la loro visione riguardo il crowdfunding. Ecco a voi l’intervista, concessa in esclusiva a The Big Cloud Project.

Perchè avete deciso di diventare startupper?

Parafrasando Terzani, potremmo riassumere cosi il motivo: “Io trovo che la cosa più bella che un giovane possa fare è di inventarsi un lavoro che corrisponde ai suoi talenti, alle sue aspirazioni, alla sua gioia, e senza quella arrendevolezza che sembra cosi necessaria per sopravvivere”

Crowdfunding in Italia, in Europa e nel mondo. Che idea vi siete fatti di questa modalità di finanziamento?

Negli U.S.A., Kickstarter ci insegna che il crowdfunding è una modalità di finanziamento ormai consolidata, una valida alternativa ai venture capitalist, anche se ci si trova di fronte ad un sistema quasi totalmente monopolistico. In Europa e in Italia siamo molti indietro. Soprattuto in Italia dove siamo esterofili per vocazione ma diffidenti per nascita.

Perchè la scelta del crowdfunding piuttosto che altre modalità di finanziamento?

Siamo andati a presentare il primo pitch di come4.org a H-Farm, perché credevamo che potesse essere di interesse per dei finanziatori esterni. Non avevamo ancora bene in mente come potesse evolvere la piattaforma, ma dopo lunghe sedute di brainstorming abbiamo deciso che per essere credibili dovevamo essere completamente no profit. E se non c’è profitto non c’è finanziamento. Da qui il passo all’approccio crowdfunding è stato quasi immediato: chiedere aiuto ai futuri utenti del servizio che avremmo creato. Per noi è stato importante fin da subito essere trasparenti per guadagnare la fiducia dei diffidenti. Il crowdfunding permette di esserlo dal primo euro donato.

Credete che il ricorso al crowdfunding sia anche una possibilità che viene data al mercato di “pesare” la bontà delle idee?

Il crowdfunding ha una doppia valenza da quel punto di vista. In primis permette di avere dei “clienti” prima di avere il prodotto pronto, impensabile in un mercato tradizionale. In secondo luogo è un
potente strumento di marketing, se la piattaforma di crowd ha un ottima traction, leggasi Kickstarter.

La scelta del crowdfunding vi ha fatto ottenere più attenzioni dalla stampa e più in generale dal mondo del Web?

Difficile da giudicare, possiamo dire che in molti che ci hanno contattato hanno conosciuto la definizione di crowdfunding grazie a come4.

Il progetto continuerà anche se la campagna dovesse fallire?

Fallire??? E perche’ mai dovrebbe!!! 🙂

Durante la presentazione ci sono state delle critiche riguardo alla mancanza di alcune scelte strategiche, scelta dettata dalla vostra volontà di dare alla gente la possibilità di intervenire riguardo ai contenuti di come4.org. Credete che per questo progetto sia necessario questo tipo di approccio o rimpiangete una pianificazione più accurata?

Ci sono ancora dei punti non chiari nello sviluppo del nostro sito. Crediamo però che essere sicuri di scegliere la strada corretta senza sentire cosa pensa il mondo di noi non sia la scelta più giusta . Abbiamo bisogno del contributo di quella che sarà la nostra community di riferimento per affinare al meglio la nostra idea. Non abbiamo problemi per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico, siamo invece preoccupati di pesare al meglio le nostre scelte per non fare un buco nell’acqua, come accaduto ad alcuni progetti italiani troppo “sicuri di sè”. Ci sono troppe variabili in campo, in un contesto di questo tipo, per pianificare nel dettaglio ogni scelta. Meglio un progetto più partecipativo.

Filantropia, beneficienza e pornografia, cose che mai sono andate di pari passo prima della vostra idea. Quali sono gli scogli che hanno causato più difficoltà nel conciliare le due cose?

Stiamo lavorando per rendere come4.org un progetto credibile. Siamo convinti che filantropia e pornografia possano convivere. Lo sforzo maggiore è cercare di strutturare una comunicazione che supporti l’unione di queste due entità. Crediamo di aver fatto un buon lavoro sul nostro sito, ma cerchiamo di affinare al meglio il nostro messaggio in quanto sappiamo che ci stiamo muovendo in un campo piuttosto delicato.

Cosa vorreste che diventasse come4.org?

Vorremmo che come4 fosse per il porno quello che il divx è stato per il mondo mondo dei video!

Ringrazio ancora Marco e Riccardo per l’intervista e invito tutti a dare un occhiata su ulule.com/come4 per saperne di più e per finanziare il progetto!

A presto,

Massimiliano

Oggi vi parlo con piacere di una neonata start-up italiana. L’idea è stata di Davide Scomparin, designer pluripremiato che ha unito la passione per il design industriale al suo spirito imprenditoriale creando Desall, una piattaforma di crowdsourcing che ha l’obbiettivo di connettere le aziende con una comunità di creativi e designer da tutto il mondo. Desall fornisce una piattaforma che non solo è un punto di incontro tra aziende e designer, ma anche tra i designer stessi, grazie alla quale i talenti possono ottenere feedback e consigli dalla comunità. La giovene start-up è stata incubata presso H-Farm, il noto venture-incubator che opera a livello internazionale, ed è uscita da poche settimane dallo stato di “beta”.

Il funzionamento di Desall è analogo a qualsiasi piattaforma di crowdsourcing: entrambe le parti, domanda (di design) e offerta hanno mutui benefici nel ricorrere ad essa. Le aziende potranno accedere ad una comunità di designer e ottenere un risparmio di tempo e denaro, nonché una varietà di opzioni che difficilmente avrebbero a disposizione se ricorressero a metodi convenzionali. Dall’altra parte, come incentivo per i partecipanti, c’è un sistema di contest dove il cliente, a fronte del pagamento di una fee a Desall, può mettere una posta in palio ai designer che proporranno il miglior progetto. L’azienda cliente dovrà inoltre riconoscere delle royalties al designer e alla piattaforma nel caso della commercializzazione di un prodotto sviluppato all’interno della community di Desall.

La start-up sta costruendo giorno dopo giorno la sua comunità di designer, grazie anche a partnership con importanti attori del settore, tra i quali figura anche l’italiano Youngdesigner.it, piattaforma che raccoglie le idee dei designer italiani under 35.

Il team di Desall sta lavorando alacremente per trovare nuove partnership, reclutare nuovi talenti e trovare nuovi clienti. Attualmente sul sito della start-up figurano tre progetti, ma grazie anche all’ottimo lavoro a livello di comunicazione e di PR che l’azienda sta svolgendo sono sicuro che presto altre aziende faranno uso di questo ingegnoso metodo per trovare soluzioni creative nel campo del design industriale. Intanto, i meccanismi virali propri dei modelli fondati sul crowdsourcing si stanno già mettendo in moto: la start-up può già vantare una nutrita comunità di designer a caccia di progetti tramite i quali dimostrare il proprio talento.

Desall è un progetto intrigante, che può vantare di essere la prima ed unica piattaforma di crowdsourcing del suo genere. Credo che il suo successo dipenderà dal fatto di attrarre presto clienti o progetti con un alta visibilità, nonché dal saper creare un meccanismo in cui i designer migliori possano distinguersi anche all’interno della comunità. Del resto, la “fama” presso un determinato network professionale è da sempre un importante incentivo per comunità di questo genere. 

Auguro un “in bocca al lupo” al team di Desall e ringrazio Davide per la segnalazione.

A presto,

Massimiliano

Pochi giorni fa leggevo questo articolo, che presentava un caso di successo riguardante “GC Illumination”, un’azienda leader nel settore dell’illuminazione pubblica e dell’arredo urbano, nata in Italia più di 50 anni fa. Il settore in cui opera è ad alto tasso di innovazione, tuttavia l’azienda, vista anche la crescente pressione dei competitor provenienti dalla Cina, ha dovuto pensare a strategie innovative per il lancio del suo ultimo prodotto, un sistema di illuminazione per esterni basato sulla tecnologia LED.

Il prodotto poteva avere applicazioni ulteriori, come per esempio l’illuminazione per strade ed autostrade. Il team di R&D, però, date le ristrettezze che questo momento storico impone, non aveva né il tempo né le risorse di cui necessitava per un ulteriore sviluppo del prodotto. Nonostante tutto, Enrico Conti, direttore generale dell’azienda, non si è perso d’animo e ha contattato SkipsoLabs, un’impresa che si occupa di fornire servizi ad imprese che vogliono velocizzare i propri processi di innovazione tramite metodologie quali Crowdsourcing ed Open/Collaborative Innovation.

GC Illumination ha usufruito di un prodotto chiamato “Crowdsourcing in a box“, una piattaforma di Crowdsourcing collaudata e flessibile, che permette di trovare o sviluppare velocemente idee innovative, ingaggiando comunità o soggetti esterni (nel caso di organizzazioni molto grandi anche interni) all’impresa. Il compito è facilitato dal fatto che SkipsoLabs sia già inserita in un network di relazioni che le permette di essere presa come riferimento da start-up o team di ricercatori in cerca di un modo per ottenere visibilità o portare i propri prodotti velocemente sul mercato. Nello specifico, GC Illumination ha beneficiato della piattaforma di crowdsourcing chiamata “Cleantech”, di proprietà di SkipsoLabs, che ha un funzionamento del tutto analogo a piattaforme come Innocentive.

Lanciato il contest, chiamato “The Green Lighting Challenge”, GC Illumination ha iniziato a selezionare le migliori proposte che le erano pervenute: una sessantina, provenienti da venti Paesi, tra le quali spiccavano tre soluzioni provenienti da altrettante start-up. A spuntarla è stata una start-up basata in UK, con la quale GC Illumination ha già iniziato delle discussioni per future parnership o joint ventures.

La Collaborative Innovation pare essere sempre più un’alternativa alla ricerca e sviluppo svolta internamente. In Italia, l’entusiasmo per questa tipologia di approccio sta crescendo soprattutto perché permette di risparmiare tempo e denaro, ma ricordiamo che le strategie basate su Open/Collaborative Innovation, Crowdsourcing e sistemi Open Source presentano anche vantaggi diversi, derivanti, non da ultimo, dall’espansione del network relazionale dell’impresa che decide di farne uso. Il caso di GC Illumination, da questo punto di vista, può dirsi un vero successo. Non solo l’azienda si è assicurata un rapido sviluppo del proprio prodotto (in un mondo dove il time-to-market è fondamentale), ma in un’ottica di lungo termine avrà l’opportunità di beneficiare dell’expertise e della creatività di un nuovo team di ricercatori.

A presto,

Massimiliano

Oggi voglio parlarvi di un progetto che sto seguendo da tempo. Il suo nome è OFF  – Officine Formative, una scuola di impresa che si è posta come mission quella di fornire un supporto a tutti gli aspiranti imprenditori che sentano la necessità di un percorso formativo finalizzato a rendere possibile la realizzazione della loro business idea.

La peculiarità di OFF è quella di non essere nè un acceleratore nè un ente che vende formazione, ma un vero e proprio laboratorio, dove gli imprenditori, dopo un percorso di selezione e formazione, possono trovare l’ambiente adatto per sviluppare in maniera efficace la propria idea imprenditoriale.

Officine fomative è un progetto interessante perché si presta ad essere attrattivo soprattutto per le nuove start-up, che fanno dell’Innovazione Collaborativa e dell’Open Innovation il loro punto di forza. OFF infatti acquisisce team di potenziali imprenditori con campi di esperienza molto diversi, permettendo un confronto diretto e una condivisione della conoscenza tra i team di startupper. Il processo di mentoring di OFF è inoltre condotto da professionisti affermati o startupper di successo, fattore che rende possibile il trasferimento di idee applicabili su più progetti e/o in diverse declinazioni.

Un ambiente che, in termini tecnici, favorisce il knowledge spillover, unendo il know-how di una grande azienda – OFF è un progetto di Intesa Sanpaolo – il contributo di professionisti affermati e le idee di potenziali imprenditori.

Il percorso formativo di OFF è diviso in due parti:

  • Think it – un ciclo di e-learning che termina con 4 lezioni interattive su analisi dei concorrenti e del mercato, business strategy e marketing per dare forma all’idea e prendere coscienza delle necessità organizzative che essa comporta;
  • Make it – 8 seminari in aula e 8 settimane di intenso lavoro presso la sede di Officine per passare dalla teoria alla pratica con la preparazione di un business plan solido che tenga in considerazione non solo gli aspetti di lancio dell’azienda ma anche quelli legati alla sostenibilità nel medio-lungo periodo con focus sulla programmazione finanziaria e il risk management.

Tra i progetti che hanno preso il via grazie ad OFF volevo segnalarne uno particolarmente interessante e innovativo: Skillbros. La start-up, creata solo pochi mesi fa dalla passione di quattro giovani imprenditori, è il primo marketplace italiano della conoscenza. Tramite il sito di Skillbros è possibile registrarsi e proporre un’argomento per cui ci si vuole segnalare come “insegnanti”. Al raggiungimento di un numero sufficiente di interessi, la lezione si concretizza nell’incontro tra l’insegnante e coloro che si sono registrati per partecipare.

L’obiettivo di Skillbros non è però solo quello di offrire una piattaforma “non convenzionale” per la formazione, ma soprattutto un modo per creare reti di appassionati, ponendo dunque l’accento sulla condivisione delle passioni e l’occasione di conoscersi.

“La finalità di Skillbros è permettere alle persone di scoprire di avere appassionati proprio nei dintorni di casa, non puntiamo su lezioni classiche e convenzionali, ma su qualcosa di diverso e sulla magia e l’importanza dell’incontro”.

Se desiderate scoprire di più sui fondatori e sulla start-up – tutta italiana nonostante il nome – vi consiglio di guardare la loro intervista su Youtube:

Ho ritenuto importante dare visibilità a un’iniziativa simile non solamente perché il blog è dedicato anche ad innovatori e potenziali startupper, ma soprattutto per mettere in risalto un’ottima iniziativa di Intesa Sanpaolo a favore dell’occupazione e dell’imprenditoria. In momenti molto delicati, quale quello in cui il nostro Paese si trova ad affrontare, progetti come OFF sono ciò di cui i giovani imprenditori necessitano per trasformare in realtà le proprie idee di business, creando crescita, occupazione e sviluppo.

Consiglio inoltre di seguire il blog di OFF, dove potrete trovare tutti i giorni notizie interessanti su start-up, business stories, case studies e attualità.

A presto,

Massimiliano

Quante volte, mentre stiamo mangiando, prima di andare a letto, mentre guidiamo, siamo stati folgorati da un’idea geniale? Un’idea che, siamo sicuri, risolverebbe i problemi di molte persone o ne migliorerebbe la qualità della vita? Perché non esiste una piattaforma che permetta a tutti di trasformare in realtà la propria idea e guadagnarci?

Questo deve aver pensato Ben Kaufman, quando si accingeva a creare Quirky.com. Quirky è una start-up fondata solo pochi mesi fa, e rappresenta la prima piattaforma di “Social Product Development” del mondo.
Secondo i propri creatori, Quirky rappresenta il modo più semplice per trasformare in realtà le proprie “idee geniali” e farle conoscere al mercato. Questo avviene grazie al supporto di una comunità di co-creatori che collaborano attraverso il sito Web Quirky.com e partecipano alla “curation” (o perfezionamento) e valutazione dell’idea. Ogni persona appartenente alla comunità che partecipi al perfezionamento di un determinato progetto viene definita “influencer” e il suo livello di impegno in quel progetto viene misurato attraverso un sistema di metriche. Perfezionata l’idea, il prodotto passa attraverso tutte le classiche fasi di sviluppo: ricerca, design, branding, igenierizzazione, produzione e, infine, commercializzazione.

Il sistema su cui si basa Quirky è, in buona sostanza, riassumibile in questo schema:

Una volta che il prodotto è pronto per il mercato, Quirky lo mette in commercio con il nome dell’inventore, trattenendo il 70% dei ricavi dalle vendite. Il resto viene destinato alla comunità di co-creatori e all’inventore, che trattiene circa il 10% dei ricavi del prodotto.
Il prodotto viene distribuito sia grazie ad una rete di partner (tra cui figurano anche Amazon.com, Target, Toys ‘R’ Us) sia attraverso la vendita diretta sul sito Quirky.com.
La caratteristica più interessante è però il meccanismo definito dalla start-up “social sales”, attraverso il quale ogni inventore è incentivato a promuovere in prima persona la vendita del “suo” prodotto, in diversi modi:

  • Condividendo la pagina in cui viene commercializzato il proprio prodotto sui maggiori social network
  • Creare dei banner per il proprio blog o sito Web
  • Creando mini-siti
  • Creando video virali
  • Collaborando con altre comunità di inventori per promuoverne la vendita in maniera congiunta

Tutto è permesso, perché l’interesse di vendere il prodotto è comune: maggiori saranno le vendite infatti, maggiori saranno i guadagni di Quirky, dei co-creatori e dell’inventore. Per guadagnare dalla vendita del prodotto ricordiamo infatti che non si deve essere per forza degli “inventori”, ma è sufficiente far parte della comunità di co-creatori che ha partecipato allo sviluppo del prodotto stesso.

Grazie a questo meccanismo, che io definirei “viral-incentivante”, tutti i soggetti coinvolti sono interessati a promuovere e a collaborare per aumentare le vendite del prodotto.

L’obiettivo di Quirky è quindi quello di creare, per ogni prodotto, un effetto buzz veloce e intenso, volto a fornire a questo ampia visibilità presso i maggiori social network.
Un sistema geniale, che, secondo Kaufman, porterà la start-up a raggiungere 20 milioni di dollari di ricavi nel 2012. Un meccanismo fondato su tre punti:

  • Il sistema “viral-incentivante”, basato su un’efficace sistema di metriche per misurare la partecipazione dei co-creatori, unito ad un meccanismo di incentivazione economica.
  • La collaborazione dei co-creatori ai vari progetti, che funge da efficace test “pre-commercializzazione”, dando in maniera preventiva un’idea dei punti di forza e debolezza del prodotto, decidendone “vita” o “morte”.
  • Lo sviluppo di una comunità di creativi e makers, che condividono la stessa passione, e che, messi insieme, possono moltiplicare all’infinito le possibilità offerte dalla piattaforma. Quirky è infatti progettata con il fine di essere flessibile ed aperta all’esterno.

A mio avviso Quirky rappresenta, in maniera concreta, la ridefinizione della teoria della “organizzazione scientifica del lavoro” di Taylor, dove il concetto di efficienza dello sfruttamento delle risorse interne viene addirittura ribaltato, ponendo, come nuovo punto focale, la massimizzazione dello sfruttamento delle risorse esterne all’impresa.

Come tendenza degli ultimi anni, si può notare quanto l’evoluzione tecnologica e delle discipline economico-aziendali siano responsabili del sorgere di start-up sempre più “Open” o “Social”.

La voglia di partecipazione del consumatore 2.0 ha quindi definitivamente sancito la morte delle grandi imprese che decidevano per lui, aprendo la strada a nuovi modelli di impresa, più adatti alla mutevolezza delle sue esigenze e maggiormente aperti al suo ascolto e coinvolgimento.
Grazie a pionieri quali i sistemi Open Source e le comunità di creazione, una nuova rivoluzione industriale pare profilarsi, in cui, finalmente, il protagonista è il consumatore.

Se avete una grande idea o tanta voglia di partecipare, vi consiglio di fare un giro su Quirky.com, sono curioso di sapere cosa ne pensate! Se invece volete capirne di più e avete poco tempo, ecco Quirky spiegato in 50 secondi:

A presto,

Massimiliano

Navigando nel Web mi sono imbattuto in questo interessante articolo, trovato sul sito “ikaro.net“, in cui Daniele Di Gregorio, esperto di Crowdsourcing, ci spiega la sua esperienza riguardo all’utilizzo di questa tecnica per una start-up.

Ho trovato l’articolo molto utile ed interessante, soprattutto perché porta il valore aggiunto di un’esperienza diretta e fornisce alcuni importanti consigli e suggerimenti.

Il link dove trovare l’articolo è:  http://www.ikaro.net/articoli/cnt/crowdsourcing-consigli.html

A presto,

Massimiliano

Il Crowdsourcing funziona? Consigli per l’uso

Il Crowdsourcing è quell’approccio che prevede di utilizzare come risorse – per la risoluzione di un determinato problema – un grande gruppo di persone o una comunità, grazie ad una “Open Call”, che prevalentemente avviene tramite Internet. Il Crowdsourcing è stato “storicamente” utilizzato anche come una “leva di marketing aggiuntiva” (aggiungendo alle classiche 4P del prof. Kotler anche la P di partecipazione) nelle strategie di marketing aziendali più raffinate.

Da un pò di tempo a questa parte però, si parla sempre più di una delle ultime declinazioni del Crowdsourcing, ovvero il Crowd funding, specialmente in relazione al “caso Pebble Technology”, la start-up di Palo Alto che ha da poco “disintegrato” tutti i record riguardanti i fondi raccolti grazie a questo tipo di approccio.

Il Crowd funding, detto anche Crowd financing o Crowd sourced capital, è quell’approccio che permette ad un soggetto, un’impresa o un’organizzazione di finanziare il proprio progetto grazie ad un grande numero di piccole donazioni, solitamente ottenute grazie ad Internet.

Pebble Watch: la start-up dei record

Come detto prima, in tema di Crowd funding la star del momento è Pebble Technology, la start-up californiana che ha saputo raccogliere (nel momento in cui sto scrivendo) circa 6 milioni di dollari per trasformare in realtà il progetto “Pebble Watch”, uno smart-clock che può connettersi via Wi-fi ad uno smartphone (grande notizia, non importa se basato su iOS o Android), visualizzandone e-mail, tweet, aggiornamenti di stato su Facebook, ma anche eventi sul calendario e previsioni del tempo.
Gli inventori di “Pebble Watch” volevano creare un orologio che visualizzasse tutte le informazioni chiave del proprio smartphone senza estrarlo dalla tasca dei pantaloni. All’ottenimento dei primi prototipi funzionanti era chiaro che il prodotto avesse un grandissimo potenziale, ma, come sempre in questi casi, servivano dei fondi per far partire il progetto.

A mio avviso, credo che nessun venture capitalist avrebbe avuto problemi a finanziare un progetto così ambizioso ed intrigante, ma piuttosto credo che la scelta di ricorrere al Crowd funding (grazie alla piattaforma fornita da Kickstarter) sia stata una scelta consapevole, non un ripiego.

Sempre secondo la mia opinione, il Crowd funding rappresenta un metodo di finanziamento potenzialmente più potente rispetto ai classici metodi di seed financing.

Crowd funding: un modello win-win

Proviamo a pensarci: a parità di prodotto, un progetto finanziato grazie ad un business angel o ad un fondo di venture capital deve intraprendere una via faticosa, iniziata “sgomitando” per ottenere l’attenzione necessaria ad un finanziamento, contrattando per ottenere la cifra desiderata, e finita nella non piacevole situazione in cui il team sia giudicato dagli analisti del fondo, che possono decidere della vita o della morte della start-up in ogni momento.
Il modello classico di seed financing prevede che poi, superata la fase di prototipazione ed ingenierizzazione, si passi a quella della produzione. Per poter vendere i suddetti beni o servizi, la start-up avrà poi bisogno di altri fondi da investire in marketing, affrontando poi il rischio di un “flop”, nel caso il prodotto non sia apprezzato dal mercato.

Le piattaforme di Crowd funding puntano ad eliminare la macchinosità di questi processi, mettendo “tutto nelle mani del mercato”. Per spiegare a cosa mi riferisco, parlerò velocemente di Kickstarter.

Kickstarter, la più famosa piattaforma di Crowd funding del mondo, fornisce un servizio che permette di presentare il proprio progetto al popolo Web, permettendo ai visitatori del sito di partecipare alla raccolta dei fondi per la sua realizzazione.
I punti chiave di Kickstarter sono:

  • Tutto o nulla: il progetto deve avere un target di fondi da raccogliere in un determinato periodo di tempo (es: 4000 dollari in un mese per lanciare un nuovo album). Se in questo periodo di tempo il progetto non raggiungerà l’obiettivo, i finanziatori saranno rimborsati.
  • Ricompense per i finanziatori: coloro che lanciano il proprio progetto su Kickstarter devono fornire un sistema incentivante ai propri finanziatori. Solitamente si tratta dei beni oggetto del finanziamento (o di loro edizioni limitate), che una volta prodotti verranno consegnati al finanziatore. La convenienza, per il finanziatore, sta solitamente nel fatto che il prezzo finale del bene sul mercato sarà superiore al valore della donazione.
  • Un’idea, se buona, può fare il giro del mondo ed avere il successo che merita: Kickstarter è nata proprio con questa mission. L’impresa trattiene il 5% del valore dei fondi raccolti.

Il modello che viene a crearsi tramite queste piattaforme è efficacissimo: non solo Kickstarter funge da collettore per ottenere dei finanziamenti, ma coloro che finanziano il progetto sono consumatori o rivenditori del prodotto.
Prendiamo l’esempio di “Pebble Watch”: l’azienda permette di ottenere un orologio “basic” con un’offerta di 99 dollari (il prezzo di mercato, una volta partito il progetto sarà di 150 dollari), e via via crescendo, fino ad arrivare ad un “megapack” di 100 Pebble Watches ottenibili alla cifra di 1000 dollari.

Crowd funding: non solo finanza, ma anche marketing

Per tutti gli startupper e i marketers, questo modello rappresenta un sogno: non solo è in grado di offrire esattamente il finanziamento di cui la start-up ha bisogno, ma, fattore ben più importante, crea già un mercato finale ai prodotti.
Le applicazioni che questo modello può avere in una strategia di marketing virale sono inoltre notevoli: nel caso di “Pebble Watch”, il buzz creato dal successo del funding tramite Kickstarter ha accelerato ed intensificato il numero e l’ammontare dei finanziamenti, determinando istantaneamente una grandissima notorietà del prodotto a livello globale, ancora prima che esso sia messo in produzione e commercializzato.
Come segno tangibile basta fare qualche ricerca, che vi dimostrerà come tutte le più importanti riviste di business, tecnologia e marketing hanno ripreso, nei giorni scorsi, la notizia dei record della start-up di Palo Alto.

Il Crowd funding, una via per il rilancio dell’economia Occidentale?

Il grande successo di Pebble Technology arriva in concomitanza con l’approvazione, da parte del Senato U.S.A. del cosiddetto JOBS act (Jumpstart Our Business Startups), una legge promulgata con il fine di regolamentare il Crowd funding ed incoraggiare il finanziamento delle start-up e delle piccole imprese. Che questi nuovi approcci all’impresa possano rappresentare una soluzione alla crisi sempre più nera che si prospetta non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo occidentale?
Quando leggo storie simili penso proprio all’Italia e a quanto il nostro paese sia pieno di creativi, desiderosi soltanto di avere a disposizione gli strumenti giusti per “monetizzare” o far crescere i propri progetti.

Se desiderate maggiori informazioni sul Crowd funding vi invito a visitare due importanti piattaforme di Crowd funding italiane:

  • Siamosoci: una piattaforma di equity-based Crowd funding per la promozione di investimenti in startup innovative.
  • Open Genius: piattaforma di Crowd funding focalizzata sulla raccolta di fondi per progetti di ricerca.

Se desiderate visitare la pagina Kickstarter di Pebble Technology, il link è: http://kck.st/HT8bXb
Se desiderate maggiori informazioni riguardo al JOBS act, vi consiglio di leggere il recente articolo pubblicato su Forbes a riguardo e la pagina dedicata alla legge su Wikipedia

A presto,

Massimiliano