Archivi per November 30, 1999

Sul Web si legge sempre più spesso di case histories in cui Crowdsourcing o Open Source hanno contribuito al successo di un’azienda, di un brand o di un prodotto. Ancora poco pubblicizzati, però, sono i rischi connessi all’utilizzo di questi approcci all’innovazione: in particolare, per scrivere questo post ho tratto ispirazione dall’articolo “Tom Tom: Rischioso fidarsi delle mappe Open Source”. Nel pezzo – che come potrete immaginare ha subito sollevato ampie polemiche – si riporta una comunicazione in cui Tom Tom avvisa la clientela di non porre troppo affidamento alle mappe Open Source, perché potrebbero essere errate o non adeguatamente aggiornate.

Nonostante molti sostenitori della “Open Source Way” siano subito insorti, Tom Tom ha sollevato uno dei problemi che – a ragion veduta – rendono ancora insidioso l’utilizzo, da parte delle aziende, di meccanismi che richiedano un’ampia partecipazione da parte delle cosiddette “intelligenze collettive”.

Ecco quindi una breve lista dei punti chiave da tenere sempre presenti per qualsiasi organizzazione che voglia sfruttare in maniera proficua i meccanismi di innovazione e creazione collaborativa:

  1. Controllo: Open Source e Crowdsourcing non significano anarchia. Nonostante spesso si richieda alla massa una democratica partecipazione ad alcune decisioni, l’azienda dovrebbe mantenere un certo controllo, per evitare un indesiderato “effetto boomerang”. Le collettività chiamate a partecipare potrebbero prendere decisioni poco lungimiranti o addirittura dannose per l’azienda, contrarie ad alcune scelte strategiche o alla visione del management. Oppure, una decisione o una richiesta da parte della comunità potrebbe essere non cattiva di per sè, ma comunque cogliere impreparata l’impresa. Un’apertura all’esterno potrebbe anche rivelarsi un’ottima occasione per i competitor per cogliere dei punti deboli, o addirittura danneggiare direttamente l’azienda.
  2. Expertise:qualora si decidesse di intraprendere un progetto che preveda il contributo di risorse esterne all’impresa, si deve sempre tenere presente il grado di expertise richiesto alle risorse stesse. Essere “Open” non significa accettare passivamente il contributo di tutti, ma anche e soprattutto saper selezionare o premiare “i talenti” e i contributi di qualità. Un buon bilancio tra “diversità ed expertise” è necessario per non rischiare che la situazione possa sfuggire di mano, o che l’azienda sprechi tempo e risorse a ricevere e considerare contributi inutili o di scarsa qualità. La necessità di selezionare soggetti con un’alta expertise è stata la scintilla che ha creato i cosiddetti Crowdsourcing di nicchia, ovvero il Curated Crowdsourcing e l’Expert Crowdsourcing.
  3. Incentivi:questo rappresenta, a mio avviso, un punto focale. I partecipanti ad un progetto di creazione o innovazione aperta devono essere adeguatamente incentivati. Nulla è più frustrante, per una persona che partecipa attivamente ad un progetto, del sentirsi sfruttata o non valorizzata. Molto spesso, i benefici psicologici derivanti dall’appartenenza ad una comunità di creazione, dove i partecipanti possono condividere le proprie passioni ed i propri interessi non sono sufficienti, o per lo meno perdono di efficacia con l’andare del tempo. Ancora poche sono le realtà che riconoscono dei veri benefici economici a coloro che danno il proprio contributo. Gli incentivi devono generare quindi un giusto mix di benefici psicologici e sociali, sostenuti (ove la situazione lo renda opportuno) da benefici di carattere economico. Condizione fondamentale è però che essi siano costanti nel tempo. Un sistema incentivante ben strutturato deve trattenere i “migliori talenti”, farli crescere e, qualora necessario, attrarre nuove partecipazioni.
  4. Regole: un equo set di regole, soprattutto se condiviso dalla comunità di co-creatori o partecipanti è necessario a mantenere l’ordine. Le regole non devono però essere nè troppo stringenti nè troppo permissive. Nel primo caso si rischia di soffocare la creatività dei partecipanti, mentre nel secondo di trasformare i progetti in anarchia.

Lo sfruttamento e la corretta gestione delle “intelligenze collettive” è un argomento molto più delicato di quanto non appaia. Il difficile compito è sempre più delegato ai cosiddetti “Community Managers”, figure professionali che stanno ricoprendo un ruolo sempre più importante nelle moderne strategie di marketing. Qualora si voglia approfondire l’argomento, raccomando l’articolo “Community Manager: ruoli e responsabilità” comparso recentemente su ninjamarketing.

Quanto sia difficile gestire delle comunità è dimostrato dalla “guerra” tra due sistemi operativi Linux-based, ovvero Ubuntu e Linux Mint (una distribuzione derivata proprio dalla stessa Ubuntu). I creatori di Linux Mint hanno avuto strada facile nell’accrescere la propria popolarità grazie ad un attenzione ed un ascolto più attento delle volontà e dei desideri degli utenti. Mentre Ubuntu deve sottostare a troppe regole, derivanti dal fatto che è “sponsorizzata” da Canonical, Mint ha intercettato quella grande fetta di Ubuntu-users che chiedeva a gran voce una distribuzione facile e stabile come Ubuntu, ma che potesse evolvere secondo le loro necessità e non secondo le imposizioni di un’impresa.

Pur essendo Ubuntu una distribuzione che “vive” dei contributi della comunità, Canonical, l’azienda che sostiene Ubuntu, ha dovuto compiere alcune scelte di carattere strategico, per permettere un futuro supporto anche su tablet, televisioni e dispositivi mobili. Una di queste scelte è stata l’adozione dell’interfaccia Unity, criticatissima da molti utenti. Nonostante queste decisioni siano chiaramente lungimiranti, Ubuntu si è trovata proprio nella situazione in cui la linea strategica del management non era condivisa da una larga fetta degli utenti. L’incapacità di parte della comunità di comprendere l’importanza della scelta di Canonical ha causato la veloce ascesa del primo concorrente di Ubuntu, ovvero Linux Mint. Se desiderate comprendere meglio come questa “guerra” sia iniziata, vi consiglio di leggere l’articolo “Linux Mint, the new Ubuntu“.

Con questo articolo spero di aver sintetizzato ed esemplificato brevemente le maggiori criticità che l’adozione di approcci di creazione ed innovazione collaborativa possono presentare.

Ritenete che vi siano altri importanti punti da tenere presente prima di intraprendere un progetto che coinvolge risorse esterne all’impresa?

Aspetto i vostri commenti!

A presto,

Massimiliano

Ha da poco preso il via “Project Sputnik”, un progetto pilota basato sull’ultrabook Dell XPS13, lanciato per esplorare la possibilità di creare un laptop con tutte le caratteristiche tecniche, la flessibilità e i pacchetti software necessari al segmento degli sviluppatori.

Project Sputnik è portato avanti da Dell tramite la sua piattaforma di crowdsourcing – IdeaStorm – ed in sinergia con Canonical (lo sponsor di Ubuntu). Nello specifico, Canonical e Dell stanno collaborando per ottenere un perfetto supporto dell’harware da parte di Ubuntu, il sistema operativo prescelto per il progetto.

L’idea è quella di dare la parola agli sviluppatori per comprendere al meglio quali sono le loro necessità e i loro desideri, con il fine di creare una macchina che, a detta dei responsabili del progetto: “avrà tutto quello che uno sviluppatore vuole e nulla di quello che non vuole”.

L’idea di “Project Sputnik” arriva da Barton George, appassionato di Open Source e direttore marketing di Dell. Dopo aver presentato il proprio progetto a Mark Shuttelworth (Chairman di Canonical), i due hanno subito intuito che le potenzialità, per questo tipo di prodotto andavano ben oltre le intenzioni iniziali. L’obiettivo è quello di creare una piattaforma per lo sviluppo che sia flessibile e che stia al passo con tutte le mutevoli esigenze del mondo dei developer. Da qui la necessità di raccogliere tutte le idee grazie alle “Storm Sessions” su IdeaStorm.

Se desiderate andare più in profondità, vi consiglio di guardare l’intervista a George, che spiega brevemente la filosofia di “Project Sputnik”.

L’iniziativa si inserisce in un insieme di progetti intrapresi da Dell negli ultimi anni, volti ad aprire l’azienda alle idee degli utenti (potenziali ed effettivi) e a gestire meglio le relazioni con questi ultimi. Proprio nel campo del CRM Dell ha recentemente posato una pietra miliare, con lo sviluppo del Social Media Command Center, una sezione dell’azienda dedicata esclusivamente al monitoraggio delle discussioni, dei riferimenti e delle opinioni riguardo all’azienda e al brand.

Nonostante “Project Sputnik” sia soltanto un progetto pilota, ben si inserisce in questa logica di “monitaraggio e coinvolgimento” degli utenti. Sottolineo inoltre che IdeaStorm, la piattaforma di crowdsourcing tramite la quale Dell raccoglie le idee dal popolo del Web, ha ottenuto un discreto successo da quando è stata lanciata nel 2007. Fino ad ora l’azienda ha raccolto più di 17 mila idee e ne ha realizzate circa 500.

Una completa inversione di tendenza da parte di Dell, che in un passato non troppo lontano era tristemente nota proprio per la cattiva gestione delle relazioni con i propri clienti.

Se desiderate ulteriori informazioni, vi consiglio di tenere monitorato il blog di Barton George, dove potrete seguire gli sviluppi del progetto.

A presto,

Massimiliano